15 settembre 2013

Il Suicidio e l'Anima, di James Hillman

Il Suicidio e l'Anima, di James Hillman

James Hillman è stato uno psicoanalista americano, che ha scritto diversi saggi tra cui "Il Suicidio e l'Anima" nel 1964, libro in cui esplora i significati psicologici del suicidio e della morte rispetto all'anima, non tanto l'anima "religiosa", ma quell'anima filosofica e psicologica che definisce interiormente ogni individuo. Hillman parla della morte e della possibilità di avere esperienza della propria morte, con una positiva visione di questa fine dell'uomo come il più naturale degli avvenimenti che possano accadere nella vita, sottolineando come l'uomo abbia bisogno di riflettere sulla morte e sperimentarla attraverso immagini e miti, per superarla e vivere al pieno delle sue possibilità.

Qui sotto come al solito una serie di citazioni e frasi tratti da Il Suicidio e L'anima di James Hillman, per farvi un'idea un po' più chiara degli argomenti trattati in questo saggio, che potete poi prendere in prestito dalla vostra biblioteca di fiducia, oppure comprare a poco su Amazon IT oppure eventualmente da cercare in PDF tramite Google. Buona lettura!

"Vi è solamente un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio. Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta è rispondere al quesito fondamentale della filosofia. Il resto... viene dopo. Questi sono giochi, prima bisogna rispondere." - Albert Camus

Non veniamo mai alle prese fino in fondo con la vita finchè non siamo disposti a cimentarci con la morte.

Oggettività significa apertura; e nei confronti del suicidio non è facile arrivare a una posizione di apertura. Il diritto ha giudicato il suicidio un reato, la religione lo chiama peccato e la società lo rifiuta.

Se ci si schiera dalla parte della vita, come è dovere del medico, le considerazioni psicologiche devono passare in secondo piano. Troviamo esempi di questa scelta in qualunque istituzione psichiatrica, dove, per proteggere la vita e prevenire il suicidio, si fa ricorso a ogni sorta di violenze psicologiche per “normalizzare” l'anima sofferente.

Per la sociologia prevenzione del suicidio significa rafforzamento del gruppo, il che ovviamente è un rafforzamento della sua metafora radicale. […] E diventa inoltre evidente che non è il suicidio la tendenza da prevenire, bensì la influenza disgregatrice dell'individualità.

[…] I tentativi di interferire con prescrizioni nella libertà individuale di culto, di pensiero e di parola sono stati addirittura considerati lesivi di tale giustizia interiore. Per gran parte del diritto europeo, il suicidio sembrerebbe dunque rientrare nei diritti impliciti dell'uomo. Se non che, dai tre grandi pilastri del diritto occidentale esso non è stato giudicato dal punto di vista del rapporto dell'uomo con se stesso. È stato giudicato dall'esterno, come se l'uomo appartenesse in primo luogo a Dio e al Re e solo residualmente a se stesso.

Perchè la teologia aborrisce il suicidio più di ogni altra forma di uccisione? Perchè ne è così turbata? Il punto di vista teologico deriva dall'idea di Creazione: “La vita è stata creata da Dio Onnipotente. Appartiene a Lui”. […] Non possiamo toglierci la vita perchè la vita non ci appartiene, è parte della creazione di Dio e noi siamo sue creature. […] CI arroghiamo il ruolo di giudici, quando soltanto Dio può disporre della vita e della morte. […] Dice l'Ecclesiaste che c'è un tempo per morire. Se Dio conosce quel tempo, in che modo lo comunica all'uomo? La teologia vorrebbe farci credere che Dio possa parlare soltanto attraverso gli eventi della sorte, perchè la morte può venire soltanto dall'esterno. […] Ma non potrebbe Dio parlare per il tramite dell'anima o sollecitare un'azione per mezzo della nostra stessa mano? Non è forse hibris da parte della teologia il porre limiti all'onnipotenza di Dio, sicchè la morte debba sempre sopraggiungere in modi che non inficino la sua metafora radicale?

Promuovere la vita ha finito per significare prolungare la vita. Quando un paziente “sta meglio”, significa che “vivrà più a lungo”. […] Ma la vita può essere prolungata soltanto a spese della morte. Promuovere la vita significa anche, perciò, posporre la morte. […] Eppure, volente o nolente, la vita più sana del corpo più sano procede quotidianamente verso la sua morte.

La conclusione generale che l'analista può trarre da tutte queste descrizioni è la seguente: il sucidio è una delle possibilità umane. La morte può essere una scelta. Il significato di tale scelta è diverso secondo le circostanze e gli individui.

Quando un analista cerca di comprendere un'esperienza, si sforza di coglierne l'importanza per l'anima della persona coinvolta. Il giudicare una morte soltanto dall'esterno limita la comprensione. Sartre sostiene addirittura che è impossibile comprendere la morte appunto perchè si tratta sempre della morte di qualcun'altro; noi siamo sempre all'esterno.

I punti di vista collettivi (sociologo, medico, giuridico, teologico) hanno proclamato il suicidio un evento da prevenire. Con questo atteggiamento e questa paura a governare la loro ricerca, essi si precludono la possibilità stessa di comprendere il problema che si sono posti di spiegare. […] Se un analista vuole comprendere che cosa avviene nell'anima, non deve mai procedere con un atteggiamento di prevenzione.

Secondo Sartre, l'unica persona in grado di comprendere una morte è la persona che è morta. Questo significa che il suicidio è incomprensibile, perchè l'unica persona che lo potrebbe descrivere non è più in grado di farlo.

I suicidi capaci di parlarne in maniera articolata, i Socrate, i Seneca, sono rari. L'individuo che comprende il proprio mito personale, che è capace di seguirne la trama con tanta chiarezza da avvertire il momento della propria morte e da raccontarlo, rappresenta un'eccesione nella storia dell'umanità. […] L'uomo normale poco comprende i propri atti e, per il fatto che coglie di solito di sorpresa, la morte gli sembra venire dall'esterno.

La psicologia non dedica abbastanza attenzione alla morte. Come è esigua la letteratura al riguardo, in confronto ai tanti studi zelantemente annotati sulle cose più insignificanti della vita!

Quando si dice che il suicidio è “innaturale”, si intende che va contro il ciclo vegetativo della natura di cui anche la natura umana è parte. Sorprendentemente però, sappiamo molto poco sul ciclo vegetativo, il quale presenta una grande varietà di modelli di senescenza e di morte.

Nell'istante della nascita sono già abbastanza vecchio per morire.

La filosofia è in grado di concepire vita e morte insieme. Per la filosofia esse non sono opposti che si escludono, polarizzati da Freud in Ero e Thanatos o da Menninger in Odio e Amore, giocati l'uno contro l'altro. […] La vita matura si evolve e ha come meta la morte. La morte è il suo stesso fine. Viviamo al fine di morire. Vita e morte sono contenute l'una nell'altra […] La vita assume il suo valore attraverso la morte e coltivare la morte è il tipo di vita raccomandato dai filosofi. Se soltanto chi è vivo può morire, soltanto chi muore è veramente vivo.

Per avvicinarsi alla morte occorre morire ogni giorno nell'anima, così come il corpo muore nei suoi tessuti. E così come i tessuti del corpo si rinnovano, anche l'anima attraverso quelle esperienze di morte si rigenera. Pertanto l'applicarsi al problema della morte è un morire al mondo, con la sua illusoria speranza che, in realtà, la morte non esista, ed è insieme un morire che immette nella vita, nel senso di un rinnovato e vitale interesse per le cose essenziali.
Finchè non possiamo scegliere la morte, non possiamo scegliere la vita. Finchè non possiamo dire di no alla vita, non le abbiamo detto davvero di si, ma siamo soltanto stati trascinati dalla sua corrente collettiva.
In un mondo in cui gli oggetti e la vita fisica dominano su tutto, in cui i bene materiali sono diventati "il bene", ciò che potrebbe distruggere tali beni, e noi con loro a causa del nostro attaccamento, diventerà "il male". Eppure: non potrebbe questo male essere anche, in certe situazioni, un bene travestito, nel senso che mette in evidenza quanto siano precari e relativi i nostri valori correnti?

L'analista che è anche medico è obbligato dalla sua formazione e dalla sua tradizione a badare innanzitutto alla morte biologica, il che pone la morte simbolica e l'esperienza della morte al secondo posto. Ma quando l'analista medico dà più peso all'elemento fisico che non a quello psicologico, inficia il proprio punto di vista di analista.

Abbiamo mostrato come l'anima abbia bisogno dell'esperienza della morte. Tale esperienza può avvenire secondo varie modalità. [...] Il suicidio è soltanto una di tali modalità; altre possono essere: depressione, crollo, stato di trance, isolamento, sovreccitazione ed euforia, fallimenti, psicosi, dissociazione, amnesia, negazione, sofferenza, tormento insostenibile. Questi stati possono essere esperiti simbolicamente o concretamente.

"Quando l'uomo libero pensa alla morte, la sua è una meditazione della vita"

La religione e la medicina, allora come oggi, sono troppo sane per offrire una risposta efficace all'anima in extremis, ed è in extremis, nei patimenti e nei sintomi radicati nell'inconscio, che cominciamo per la prima volta ad avere sentore dell'anima. [...] Quelle persone vogliono qualcuno che si interessi della psiche in quanto tale, uno specialista dell'anima, non un medico o un prete, e neppure un amico. Gli analisti non hanno certo chiesto di fare i preti o i medici, e magari vi fossero più amici saggi e amanti sinceri!

La salute è genericamente concepita come funzionamento corretto, benessere fisico, solidità strutturale, assenza di patologie, mancanza di turbe o disabilità, e così via. Ovviamente, come ha scritto Renè Dubos, questa idea della salute è un miraggio, in cui non trovano spazio la realtà della vita umana, che in ogni momento include perturbazione e sofferenza.

A parte l'intervento diretto volto a rimuoverne la causa, il dolore fisico può essere aggredito a livello psicologico solamente in due modi: accrescendo la capacità di sopportare la sofferenza, alla maniera spartana o stoica [...] oppire diminuendo la sensibilità con antidolorifici, secondo l'uso moderno. Questo metodo porta a una riduzione della capacità di sopportazione che a sua volta riduce la tolleranza di tutti i tipi di sofferenza.

Le nostre idee di normalità tendono a basarsi su aspettative statistiche: ciò che eccede o è inferiore a tali aspettative devia dalla norma.

La comparsa di eruzioni cutanee, di disturbi circolatori o degli organi interni, di acciacchi e dolori riflette l'evidenziarsi di nuove zone di esperienza corporea, che spesso sono costrette a manifestarsi sotto forma di malanni, prima che il corpo riesca a farsi ascoltare senza dover urlare per ottenere riconoscimento.

Le domande dell'analisi non producono risposte precise. Anzi, mettono in moto un processo che suscita altre domande e va a sondare sempre più a fondo nella vita. Il significato viene estratto da ciò che è ignoto.

Come ha detto T.S. Eliot: "Via, via, via, disse l'uccello: il genere umano non può sopportare troppa realtà".

La qualità della vita e l'ingresso nella morte tendono a essere messi al secondo posto rispetto al fine principale della medicina: prolungare la vita. La vita non è più in funzione di qualcosa d'altro, ma è diventata la misura di sè stessa.

Presso gli eschimesi, quando una persona si ammala, assume un nuovo nome, una nuova personalità caratterizzata dalla malattia.

La malattia che l'esperienza della morte cura è l'accanimento di vivere. Tale malattia è definita nel modo migliore dalla formula medico-statistica: "aspettativa di vita". Il fatto di sperare, di "aspettare con desiderio", trova una giustificazione nella statistica; ciascuno ha diritto a una certa quantità di vita.

[...] il pensiero che la mia anima sia mia, e dunque che la mia morte appartenga solo a me: della mia morte posso fare quello che voglio. Poichè posso porre termine alla mia vita quando e come e dove mi aggrada, sono un essere totalmente mio, assolutamente autodeterminato, sciolto dalla costruzione fondamentale che opprime nell'essenza ogni essere umano, l'incerta certezza della morte.

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