1 ottobre 2014

Commentari sulla Società dello Spettacolo, di Guy Debord


20 anni dopo la pubblicazione del suo libro "La Società dello Spettacolo", Guy Debord sente di dover aggiungere delle importanti note alla sua opera e nel 1988 esce il volume dal titolo "Commentari sulla Società dello Spettacolo", in cui riprende le sue teorie per affinarle ai tempi sempre più in linea con le sue analisi della società moderna.

Debord è stato tra i membri più famosi della Internazionale Situazionista e le sue idee hanno influenzato i critici sociali dell'ultimo secolo, a partire da quel movimento più superficiale che effettivo che furono le rivolte studentesche e operaie del 1968. Anche se questi commentari andrebbero presi in mano dopo una attenta lettura della Società dello Spettacolo, i pensieri che si ritrovano tra le sue pagine riescono a vivere benissimo per conto proprio, evidenziando problemi e tecniche contro cui ogni uomo finisce per scontrarsi durante questa esistenza in un mondo guidato da poteri economici.

Come sempre vi riscrivo alcune citazioni dai Commentari sulla Società dello Spettacolo qui sotto, per capire un po' meglio quali sono gli argomenti del saggio. Il libretto è composto da poco più di 100 pagine e potete leggerlo tutto in un pomeriggio, se vi interessa lo trovate da leggere completo online, in prestito nella vostra biblioteca di fiducia o potete comprarlo su Amazon per 9 euro. Buona lettura!

Dovendo tener conto di lettori molto attenti e diversamente influenti, non posso evidentemente parlare in piena libertà. Sopratutto devo stare attento a non istruire troppo chicchessia.

Può accadere che la transizione mediatica faccia da copertura per molte attività, ufficialmente indipendenti, ma in realtà segretamente collegate da differenti reti ad-hoc. In tal modo, a volte, la divisione sociale del lavoro, così come la solidarietà facilmente prevedibile del suo uso, riemergono sotto forme del tutto nuove: per esempio si può ormai pubblicare un romanzo per preparare un assassinio. Questi esempi pittoreschi vogliono anche dire che non ci si può più fidare del mestiere di nessuno.

Una notorietà anti-spettacolare è diventate una cosa estremamente rara. [...] Nella società che si è proclamata ufficialmente spettacolare, essere conosciuti al di fuori delle relazioni spettacolari vuol già dire essere considerato un nemico della società.

Per la prima volta nell’Europa contemporanea, non c’è più nessun partito che cerchi almeno di rivendicare la pretesa di voler cambiare qualcosa di rilevante. La merce non può più essere criticata da nessuno, nè come sistema complessivo, e neppure in quanto cianfrusaglia che i capi delle aziende hanno deciso ad un bel momento di lanciare sul mercato.

Questa democrazie così perfetta fabbrica essa stessa il suo nemico inconcepibile, il terrorismo. Infatti vuole essere giudicata per i suoi nemici e non per i suoi risultati. La storia del terrorismo è scritta dallo stato, quindi è educativa. I popoli spettatori non possono certamente sapere tutto del terrorismo, ma possono sempre saperne abbastanza da essere persuasi che, in confronto al terrorismo, tutto il resto dovrà sembrare più accettabile e in ogni caso più razionale e democratico.

L’inquinamento degli oceani e la distruzione delle foreste equatoriali minacciano il ricambio di ossigeno sulla terra, lo strato di ozono che la protegge si sta riducendo, le radiazioni di origine nucleare si accumulano continuamente, ma per lo spettacolo tutto ciò non è importante. Vuole discutere unicamente di quantità e di tempi, solo in questo modo riesce a rassicurare, cosa che una mente pre-spettacolare avrebbe ritenuto impossibile.

E’ pure vero che ad esempio la medicina moderna aveva potuto, per un certo tempo, spacciarsi per utile, ma coloro che avevano sconfitto il vaiolo o la lebbra erano di un’altra pasta rispetto a quelli che hanno vilmente capitolato di fronte alle radiazioni nucleari o alla chimica agroalimentare.

Corrompendo un disk-jockey si può determinare chi avrà successo tra tanti prodotti musicali ugualmente miserabili.

Una legge generale del funzionamento dello spettacolo integrato, almeno per coloro che lo dirigono, è che in  questo quadro tutto ciò che si può fare deve essere fatto.

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