Continua il mio viaggio tra i libri di Emil Cioran, questa volta con "Il Funesto Demiurgo", pubblicato nel 1969 in francese (Le mauvais démiurge), 4 anni prima di "L'Inconveniente di Essere Nati". Il breve libro è diviso in 6 parti che ne riassumono i contenuti: "Il funesto demiurgo" (capitolo che dà il nome alla raccolta), "Gli dèi nuovi", "Paleontologia", "Incontri col suicidio", "Il non-liberato" e "Pensieri Strangolati".
Cioran scrive quindi la sua immaginazione su come possa essere stato creato questo mondo problematico, o per meglio dire chi abbia deciso di fare uno scherzo all'essere umano, dandogli una forma e una coscienza. La "colpa" non può quindi che essere di un cattivo Demiurgo, figura che nella filosofia platonica rappresenta il mediatore tra il mondo delle idee e la materia, un semidio che non crea ma organizza l'universo.
Il libro non è probabilmente il più adatto per fare la conoscenza di Emil Cioran, proprio a causa dei 2 capitoli introduttivi sulla creazione e la religione, che oggi hanno forse perso il loro attacco a un tempo ormai lontano e che per qualcuno potrebbero risultare ardui da superare.
"Il Funesto Demiurgo" è invece il libro che al momento raccoglie meglio le riflessioni dell'autore sul tema del suicidio come risposta serena alla vita, per conquistarne totalmente il suo segreto, ovvero la morte. Un tema che può far storcere il naso a chi non ne ha mai ragionato nella sua più felice distensione, ma che regala sempre una forte fiducia nell'esistenza per il resto degli Esseri ancora viventi.
Emil Cioran ha 58 anni e i suoi temi continuano a mostrare la sua precisa visione del mondo, con fiducia e rassegnazione. Innumerevoli frasi, più o meno prolisse, sulla nascita, la morte, la discendenza, la volontà, l'introspezione, la consapevolezza di sè stesso e degli altri.
Come sempre, a seguito una raccolta di frasi e aforismi dal Funesto Demiurgo di Emil Cioran. Se gli argomenti vi interessano, probabilmente trovate una copia del libro in prestito presso la vostra biblioteca di fiducia. Buona lettura!
Non si tratta tanto di combattere l'appetito di vivere, quanto il gusto della "discendenza". I genitori sono dei provocatori, o dei pazzi. Che l'ultimo dei malnati abbia facoltà di dare vita, di mettere al mondo, può esserci qualcosa di più demoralizzante?
Per necessità ingannevole, è il piacere che ci permette di eseguire una certa prestazione che in teoria disapproviamo.
Non è possibile consentire a che un dio, e neanche un uomo, proceda da una ginnastica coronata da un grugnito. E' strano che alla fine d'un periodo di tempo così lungo, l'evoluzione non sia riuscita a mettere a punto un'altra formula.
Intendiamoci: la vita di per sè non è in causa; è misteriosa e spossante quanto basta, mentre non lo è l'esercizio in questione, di una facilità inammissibile, considerate le sue conseguenze.
Vero è soltanto il nostro trionfo sulle cose, vera è la constatazione d'irrealtà, redatta ogni giorno, in ogni ora, dalla nostra chiaroveggenza. Liberarsi significa rallegrarsi di questa irrealtà, e in ogni istante cercarla.
La viva coscienza di ciò che incombe sulla carne dovrebbe distruggere l'amore e l'odio. Riesce, in realtà, soltanto ad attenuarli. Altrimenti sarebbe troppo semplice: basterebbe, per essere felici, rappresentarsi la morte... e il macabro, esaudendo i nostri voti più segreti, sarebbe a pieno profitto.
Esiste in noi, più che una volontà, una tentazione di morire. Se infatti ci fosse concesso di volere la morte, chi alla prrima contrarietà, non ne approfitterebbe?
La morte non è necessariamente sentita come liberazione; il suicidio libera sempre: è culmine, è parossismo di salvezza. Per decenza, dovremmo essere noi a scegliere il momento di scomparire. E' avvilente estinguersi come ci si estingue, è intollerabile essere esposti a una fine sulla quale non abbiamo alcun potere, che vi spia, vi atterra, vi precipita nell'innominabile.
La millenaria cospirazione contro il suicidio è la causa dell'ingombro e della sclerosi nelle società. E' nostro diritto imparare a distruggerci al momento giusto, ad accorrere lietamente verso il nostro spettro.
Fa bene pensare che stiamo per ucciderci. Non esiste oggetto di riflessione più riposante: già a sfiorarlo ci si allarga il cuore. Meditarci su rende liberi quasi come l'atto stesso. [...] Quante volte mi sarò detto che senza l'idea del suicidio, ci si ammazzerebbe subito!
Chi non ha mai immaginato di uccidersi si deciderà a farlo più prontamente di chi non smette di pensarci. Poichè ogni atto cruciale è più facile da compiersi per assenza di riflessione che per esame [...]
Così, a furia di rimuginare il pro e il contro dell'unico gesto che conti, si finisce con la cattiva coscienza d'essere ancora vivi. L'ossessione del suicidio è propria di colui che non può nè vivere nè morire, e la cui attenzione non si allontana mai da questa duplice impossibilità.
Il disgusto per il lato utile della sessualità, l'orrore del procreare, fanno parte del loro rimettere in causa la Creazione: perchè moltiplicare i mostri?
Perchè non mi uccido? Se conoscessi esattamente ciò che me lo impedisce, non avrei più domande da rivolgermi, avrei risposto a tutte.
Quei momenti soli contano, in cui così violento è il desiderio di restare con se stessi, che ci si farebbe saltare le cervella piuttosto di scambiare una parola con qualcuno.
L'orina di vacca è il solo medicamento di cui i monaci fossero autorizzati a servirsi, nelle prime comunità buddhiste. Restrizione quanto mai sensata. Se uno aspira alla pace, la raggiungerà soltanto respingendo tutto ciò che è causa di turbamento, tutto ciò che l'uomo ha innestato sulla semplicità, sulla salute originaria. Niente rivela meglio il nostro decadimento quanto lo spettacolo di una farmacia: tutti i rimedi desiderabili per ogni nostro male, ma nessuno per il male essenziale, quello da cui nessuna invenzione umana ci potrà guarire.
Trovare che tutto è privo di fondamento e non farla finita, non è un'incoerenza: spinta all'estremo, la percezione del vuoto coincide con la percezione del tutto, con l'ingresso nel tutto. Si comincia finalmente a vedere, non si va più a tentoni, si è più sicuri, più forti.
Che cos'è un "contemporaneo"? Uno che ci piacerebbe ammazzare, senza sapere bene come.
La scomparsa degli animali è un fatto di una gravità senza precedenti. Il loro carnefice ha invaso il paesaggio; non c'è posto che per lui. L'orrore di vedere un uomo là dove si poteva contemplare un cavallo!
Mentre la tristezza si giustifica sia col ragionamento sia con l'osservazione, la gioia è basata su niente, partecipa del vaneggiare. Non si può essere gioiosi per il solo fatto di vivere; all'opposto, si è tristi non appena aperti gli occhi. La percezione in quanto tale rende tetri, come dimostrano gli animali. Soltanto i sorci han l'aria d'esser di buon umore senza sforzo.
L'orrore e l'estasi della vita, vissuti simultaneamente, come un'esperienza all'interno di uno stesso istante, di ogni istante.
"Non mangiare niente che tu non abbia seminato e raccolto con le tue mani", questa raccomandazione della saggezza vedica è così legittima, così persuasiva, che dalla rabbia di non potervisi conformare ci si lascerebbe morire di fame.
Quando era in compagnia di qualcuno, Pirrone, se il suo interlocutore se ne andava, seguitava a parlare come se niente fosse. Questa forza d'indifferenza, questa disciplina del disprezzo io la sogno con l'impazienza di uno squilibrato.
E' semplice chiacchera ogni conversazione con chi non ha sofferto.
Mediocrità nella mia afflizione ai funerali. Impossibile compiangere i defunti; inversamente, ogni nascita mi precipita nella costernazione. E' incomprensibile, è insensato che si possa mostrare un neonato, che si esibisca questo disastro virtuale, e ci si rallegri.
"Lei chi è?" Io sono uno straniero per la polizia, per Dio, per me stesso.
Anche se inattivi, da soli non si spreca tempo. Lo si sperpera quasi sempre quando si è in compagnia. Nessun colloquio con se stessi può essere del tutto sterile: qualcosa ne vien fuori per forza, non fosse altro la speranza di ritrovarsi, un giorno.
Soltanto lo scrittore senza pubblico può permettersi il lusso di essere sincero. Non si rivolge a nessuno: tutt'al più a se stesso.
Sovversivo è solo quello spirito che mette in dubbio l'obbligo d'esistere; tutti gli altri, anarchico in testa, scendono a patti con l'autorità costituita.
Giuro che pure sforzandomi non ci arrivo a comprendere come ha fatto Cioran a non uccidersi. 84 anni. Mi sembra impossibile. Tanto più con l'insonnia.
RispondiEliminaSecondo me ci sta, lui stesso scrisse da qualche altra parte "senza l'idea del suicidio mi sarei già suicidato", insomma, aveva il potere di andarsene quando voleva, quindi aspettava solo il momento in cui non ne avrebbe davvero potuto più di questo mondo, ma la vecchiaia è arrivata prima di lui :)
RispondiEliminaAh ecco, rileggendo le parti qui sopra, lo ha scritto proprio in questo libro ;P
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